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Il Parco Nazionale del Pollino
LINEAMENTI GEOLOGICI NEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO
Il confine Calabro-Lucano riveste un particolare interesse nella geologia dell'Italia meridionale, rappresentando la complessa fascia di raccordo tra i domini strutturali dell'Appennino Calcareo auct. e le coltri cristallino-metamorfico-sedimentarie dell'Arco Calabro-Peloritano.
In questo contesto la catena del Pollino si configura come una delle maggiori strutture geologiche, costituendo, nell'accezione classica una estesa monoclinale, con direzione media WNW-ESE ed immersione generale a NE, di carbonati mesozoico-terziari di piattaforma ("Complesso Panormide" di OGNIBEN,1969, corrispondente all'Unità Alburno-Cervati di D'ARGENIO et alii,1973), derivanti dalla deformazione della piattaforma campano-lucana (D'ARGENIO et alii,1973) o piattaforma appenninica (MOSTARDINI & MERLINI, 1986).
Le formazioni che compongono l'Unità Alburno-Cervati sono rappresentate in generale da un complesso calcareo-dolomitico di età compresa tra il Trias superiore ed il Cretacico superiore, a cui segue la trasgressiva e concordante Formazione di Cerchiara (SELLI.1957), costituita in prevalenza da calcareniti in facies neritica del Miocene inferiore.
La successione è chiusa in concordanza dalla formazione del Bifurto (SELLI,1957), data da un'alternanza di argilliti, calcari marnosi, calcareniti, brecciole a microforaminiferi rimaneggiati e quarzareniti del Miocene medio.
Questi sedimenti terrigeni affiorano immediatamente a nord della dorsale carbonatica, a nord di questa sono presenti soprattutto terreni appartenenti al Complesso Liguride.
L'insieme dei terreni liguridi costituisce l'elemento tettonico geometricamente più elevato della regione, riposando di norma sui termini carbonatici di piattaforma.
A sud della linea del Pollino auct., affiora l'Unità di Verbicaro, in settori contigui affiora l'Unità di S. Donato..
Le caratteristiche geologico-strutturali delle unità che affiorano nell'Appennino Calabro-Lucano costituiscono uno degli elementi che permettono di ricostruire le principali tappe evolutive di questo orogene.
In particolare le unità ofiolitifere forniscono informazioni sui processi d'accrezione sviluppatisi, tra il Cretaceo superiore-Eocene e l'Oligocene superiore in seguito alla chiusura dell'oceano tetideo.
I successivi eventi deformativi, definiti da strutture a pieghe e sovrascorrimenti a vergenza apula, sarebbero avvenuti in regime di collisione continentale tra il Miocene medio ed il Pleistocene inferiore.
Le strutture trascorrenti si sarebbero attivate nel Pleistocene medio durante l'ultima fase di collisione, seguita dai processi estensionali ancora attivi.
Le principali unità affioranti nell'area del parco del Pollino sono:
- Unità Carbonatiche, sono rappresentate da calcari, calcari dolomitici e dolomie ben stratificati passanti verso l'alto a calcilutiti contenenti intercalazioni di calcari oolitici. Questa sequenza costituisce l'ossatura di M.te Alpi ed il crinale del massiccio del Pollino.
Il mesozoico è rappresentato da una sequenza di calcilutiti e calcareniti organogene compatte contenenti intercalazioni di calcari dolomitici grigiastri e di calciruditi a rudiste.
Questa sequenza affiora nelle monoclinali di Serra dell'Abete, Madonna del Pollino, Serra di Crispo, T.pa Zucchetto, La Falconara, T.pa di S.Lorenzo, T.pa di Cassano, Pietra S.Angelo, M.te Sellaro e T.pa del Demanio.
Sul versante occidentale del M.te Sellaro i sedimenti cretacei sono attraversati da un diatrema di rocce basiche di colore rosso vinaccia.
I calcari cretacei passano talora in continuità ad una sequenza spessa fino a 50 m, di biocalcareniti grigio-chiare, calcilutiti e subordinatamente calciruditi e marne verdastre, denominata Formazione di Trentinara (SELLI,1962). Questa successione, affiora in lembi a causa dell'erosione.
I sedimenti carbonatici mesozoico-terziari sono ricoperti in discordanza dai terreni della trasgressione miocenica (SELLI,1957), i quali sono rappresentati, nell'area di M.te Alpi e del Pollino, da sequenze che differiscono per la loro attribuzione stratigrafica.
Nella zona di M.te Alpi i sedimenti miocenici sono costituiti da una sequenza di circa 20 m di biocalcareniti grigiastre e di calcilutiti bituminose con intercalazioni di marne argilloso-siltose, sormontata da 150 m di conglomerati poligenici passanti a calcareniti ed arenarie quarzose a laminazione incrociata.
Nell'area del Pollino i depositi trasgressivi miocenici sono rappresentati dalla Formazione di Cerchiara (SELLI,1962), la quale è costituita da marne siltose di colore rosso vinaccia o giallastro (presenti solo a Cerchiara di Calabria) a cui seguono calcareniti organogene grigiastre a granulometria da media a grossolana.
In discordanza sui depositi carbonatici burdigaliani e più raramente anche sui termini cretacei poggiano i sedimenti terrigeni della Formazione del Bifurto (SELLI,1957).
Questi sono costituiti da argille siltose-marnose ocracee o grigio avana e marne giallastre e rosso vinaccia contenenti intercalazioni di calcari marnosi, calcisiltiti, calcareniti, brecciole gradate a microforaminiferi, di colore grigio-bruno.
- Complesso Liguride, i terreni appartenenti a questo complesso possono essere divisi in tre gruppi:
il primo gruppo, in posizione geometricamente basale, è costituito da unità ofiolitifere non metamorfiche denominate come unità del Flysch calabro-lucano (MONACO et alii,1991).
Il secondo gruppo comprende i terreni ofiolitiferi metamorfici dell'Unità del Frido (AMODIO-MORELLI et al.,1976).
Il terzo gruppo è rappresentato dalle successioni torbiditiche sinorogeniche della Formazione del Saraceno, della Formazione di Albidona e dall'alternanza argilloso-marnoso-arenacea d'età supramiocenica.
- Unità del Flysch calabro-lucano, s'intende una successione non metamorfica, contenente blocchi inglobati tettonicamente.
- Unità del Frido, questa unità è costituita da una successione di metamorfiti polideformate contenenti blocchi di dimensione variabile di rocce ofiolitiche e di rocce di derivazione continentali.
Al di sopra dell'unità del Flysch calabro-lucano e talora dell'unità del Frido si ritrovano in discordanza le successioni torbiditiche della formazione del Saraceno (SELLI,1962) e della formazione di Albidona (SELLI, 1962; OGNIBEN,1969) ed una sequenza prevalentemente argilloso-marnoso-arenacea affiorante lungo il fondovalle del fiume Sinni (VEZZANI,1966)
Sulle unità precedentemente descritte giacciono direttamente in discordanza i depositi terrigeni plio-pleistocenici affioranti nel Bacino di S.Arcangelo a NW (Conglomerati di Castronuovo) e nella porzione più settentrionale del Bacino del Crati a SE (Ghiaie di Lauropoli).
M.te ALPI
Successione tettono-stratigrafica
I termini più antichi sono rappresentati da calcari, calcari dolomitici e dolomie ben stratificate passanti verso l'alto a calcilutiti contenenti intercalazioni di calcari oolitici, questa sequenza d'età giurassico medio – cretaceo inferiore costituisce l'ossatura di M.te Alpi, (questa sequenza è possibile osservarla presso ex cava del marmo e in parte a S.Croce quota 1893m).
I sedimenti carbonatici mesozoico – terziario sono ricoperti da sedimenti miocenici costituiti da una sequenza di circa 20 m di biocalcareniti grigiastre, contenenti resti di echinodermi, pettiniti ed ostreidi, e di calcilutiti bituminose con intercalazioni di marne argilloso – siltose, sormontata da 150 m di conglomerati poligenici passanti a calcareniti ed arenarie quarzose a laminazione incrociata.(Tpa C:arlone e Iannazzo, sorgente Acqua segreta).
In contatto tettonico con i terreni miocenici si rinvengono i terreni appartenenti alla formazione delle crete nere, si tratta di argilliti di colore nero – bluastro con intercalazioni di quarzareniti grigio – verdine e di calcilutiti nerastre (si possono osservare lungo la strada di collegamento Latronico – Pargo).
L'ISTIOFORIDE DI MONTE ALPI
Il Monte Alpi è un massiccio calcareo ubicato nella parte sud-occidentale dell'Appennino Lucano, esso rientra nella tavoletta topografica F.211 "Latronico" III N.O. della Carta d'Italia dell' I.G.M. e nel foglio "S.Arcangelo" della Carta geologica D'Italia.
La sua posizione paleogeografica è stata oggetto di numerosi studi ma non si è tuttora giunti ad una interpretazione univoca.
La successione di Monte Alpi è costituita da una sequenza carbonatica mesozoica potente circa 1000 metri in facies di retroscogliera, su cui poggiano due distinti cicli neogenici.
In località Solarino di Iannazzo, una frazione del Comune di Latronico, ad una quota di circa 980 m. s.l.m. affiora il fossile su una superficie di strato costituita da una calcarenite marnosa grigiastra.
La sagoma mostra una sezione sagittale, che si sviluppa in senso antero-posteriore per circa 235 cm e in senso dorso-ventrale per circa 95 cm.
Il fossile sembra appartenere ad un Istioforide, molto probabilmente del genere Makara.
Il fossile fu segnalato per la prima volta da ORTOLANI nel 1982 e successivamente da TADDEI & SIANO nel 1992.
IL CLIMA
La tormentata e possente orografia e i notevoli contrasti morfologici, sono determinanti nel conferire al clima del massiccio del Pollino una peculiare individualità nell'ambito del meridione d'Italia ed a concorrere alla formazione di più ambienti differenti fra loro.
Nei versanti che si affacciano verso il mare si riscontra il clima tipicamente mediterraneo con inverno mite ed estate calda e siccitosa. La divisione in due versanti dell'estensione del sistema orografico fa si che la fascia ionica sia esposta alle influenze africane e quindi riscontriamo temperature più elevate e precipitazioni brevi ma molto intense, mentre la fascia tirrenica è soggetta alle correnti occidentali e dunque troviamo temperature meno elevate e piogge orografiche molto frequenti.
Con l'aumentare dell'altitudine e nelle zone più interne il clima può definirsi montano mediterraneo con inverni più freddi e piovosi ed estati meno calde e con qualche precipitazione.
Il massiccio del Pollino saldandosi ad ovest con la Catena Costiera Calabrese costituisce una barriera bene organizzata nei confronti delle perturbazioni atlantiche provenienti da nord-est che, nella stagione invernale in assenza dell'anticiclone delle Azzorre, si susseguono con notevole frequenza. Le conseguenze degli effetti orografici sono evidenziate chiaramente dalle distribuzione delle precipitazioni medie annue che oscillano dai quasi 2.000 mm di pioggia sulle vette che si affacciano sul Tirreno, ai 600 mm sulle pendici verso lo Ionio.
Il regime dei venti è molto vario. Si ha comunque una maggiore frequenza dei venti occidentali. Si tratta di venti molto ricchi di umidità che apportano precipitazioni di notevole intensità. Il versante orientale è interessato con maggior frequenza dai venti provenienti da est e sud-est che sono venti scarsamente imbriferi (Ciancio O., 1971).
LA VEGETAZIONE E LA FLORA
Le zone altitudinali della vegetazione del Massiccio del Pollino mostrano una decisa ed evidente asimmetria che ha la sua ragione nella diversità climatica (calore, piovosità, ecc.) fra i due versanti; la presenza di alte montagne fa si che ci sia una zonazione altimetrica della vegetazione dovuta al variare secondo un gradiente altitudinale di temperature ed umidità.
Per avere una più facile schematizzazione delle varie aree vegetazionali è necessario introdurre il concetto di "fascia di vegetazione": una porzione dello spazio, individuata in un'area montuosa, nella quale si presentano simili condizioni bioclimatiche e che pertanto presenta le stesse potenzialità dal punto di vista vegetazionale (Pignatti, 1979).
Sul territorio del Parco Nazionale del Pollino possiamo distinguere dal basso verso l'alto:
fascia Mediterraneo-Arida
fascia Mediterraneo-Temperata
fascia Sannitica
fascia Sub-Atlantica
fascia Mediterranea-Altomontana
La fascia Mediterraneo-Arida è caratterizzata dall'Oleo-Ceratonion. E' limitata all'ambiente costiero e si tratta della fascia più termofila.
La fascia Mediterraneo-Temperata è la classica fascia della lecceta (Quercetum ilicis).
Queste prime due fasce, sul Pollino, non sono ben distinte ma s'inframmezzano spesso fra di loro e le troviamo maggiormente diffuse nel versante calabro. Le specie presenti sono per lo più quelle della macchia mediterranea e della gariga. Sono specie sia arbustive che erbacee, quasi sempre contraddistinte da foglie tenaci, rivestite da cere e ricche di oli essenziali e di resine. Le specie più rappresentative sono il Leccio (Quercus ilex), le Eriche (Erica arborea, Erica multiflora), il Pungitopo (Ruscus aculeatus), il Corbezzolo (Arbutus unedo), i Cisti (Cistus incanus, Cistus salvifolius, Cistus monspeliensis) e il Lentisco (Pistacia lentiscus).
Interessante è la macchia a Ginepro rosso (Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa) presente lungo la strada per la "Fagosa", sopra Civita, e sempre vicino questo paese, posto sulle rupi all'uscita delle gole del torrente Raganello, troviamo la macchia ad Euforbia arborea (Euphorbia dendroides). Ad occidente, sul versante calabro del Parco troviamo la macchia alta ad Erica multiflora (Erica multiflora), molto più rara dell'Erica arborea (Erica arborea) presente quasi dappertutto.
Il Leccio lo troviamo in gran numero sul versante meridionale del Massiccio; le pareti più basse della Manfriana, del Dolcedorme, del Pollino e di Serra del Prete e le valli fluviali che si affacciano sul Tirreno (Lao, Argentino, Abatemarco, Corvino) sono ricoperte da questa essenza arborea. Il Leccio tende a colonizzare i costoni rocciosi ed esposti al sole, talvolta lo troviamo anche ad alta quota, come in alcune valli dei Monti di Orsomarso, dove entra, addirittura, nel sottobosco del Faggio (Fagus silvatica).
La gariga è tipica delle zone più aride e scoperte, per lo più esposte a sud-est come nel caso della "Petrosa", sopra Castrovillari. Questa vasta area deve il suo nome alla notevole rocciosità affiorante ed è molto importante per la sua vegetazione naturale costituita da formazioni vegetali rade con arbusti bassi e spinosi e vaste praterie a dominanza di Stipa austroitalica (Stipa austroitalica). Tra le specie che caratterizzano la gariga troviamo le Euforbie (Euforbia rigida, Euforbia spinosa), l'Elicriso (Helichrysum italicum), i Cisti e la Lavanda (Lavandula angustifolia)
La fascia Sannitica è la fascia delle foreste miste caducifoglie. La foresta mista sannitica ha per lo più carattere di mezza montagna. Tra gli alberi ricordiamo: il Cerro (Quercus cerris), gli Aceri (Acer neapolitanum, Acer monspessulanum), l'Ontano napoletano (Alnus cordata).
I boschi di Cerro, sul Pollino come su quasi tutto l'appennino meridionale, occupano la fascia intorno ai 1000 metri di altitudine e li troviamo soprattutto nel versante lucano del Massiccio. A volte il Cerro entra in contatto con il Faggio, creande dei boschi misti molto interessanti. Sul versante calabro la fascia delle querce caducifoglie è poco estesa ed è da ricordare la cerreta presso il Piano di Marco (San Donato di Ninea), dove nel sottobosco troviamo un'eccezionale diffusione di peonie (Paeonia mascula, Paeonia peregrina).
Un'altra quercia che possiamo ritrovare in questa fascia è il Farnetto (Quercus frainetto Tenore). Questa specie, caratteristica per le grandi foglie, ha l'areale circoscritto ai Balcani e all'Italia Meridionale. Sul Pollino lo possiamo trovare nei territori dei comuni di Noepoli, San Costantino Albanese e Alessandria del Carretto e con maggior frequenza tra gli 800 e i 950 metri di quota.
Un discorso a parte merita il Castagno (Castanea sativa) che trova ampia diffusione sul territorio del Pollino; tale situazione è in gran parte attribuibile all'uomo che ne ha da secoli favorito l'insediamento a scapito dei querceti caducifogli. Specie mesotermica, il castagno si rinviene lungo una fascia altitudinale compresa tra i 500-600 ed i 1000-1100 metri di quota.
La fascia Sub-Atlantica corrisponde all'area bioclimatica delle faggete. Tagliando questa fascia in senso trasversale si possono riconoscere due tipi principali di faggeta, una nella parte più elevata l'altra nella parte più bassa, queste due unità sono rispettivamente l'Asyneumati-Fagetum e l'Aquifolio-Fagetum.
La fascia più alta è caratterizzata da: Campanula delle faggete (Campanula trichocalycinum), Centonchio dei boschi (Stellaria nemorum), Lamiastro (Lamiastrum galeobdolon), Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), e Acero di Lobelius (Acer lobelli). Quella più bassa è caratterizzata da: Agrifoglio (Ilex aquifolium), Melica comune (Melica uniflora), Dafne laurella (Daphne laureola), Cicerchia primaticcia (Lathyrus vernus), Euforbia delle faggete (Euphorbia amygdaloides).
Tra un tipo e l'altra il passaggio non avviene mai bruscamente, ma attraverso aspetti indecisi di transizione (Gentile, 1969).Interessante è l'associazione del Faggio con l'Abete bianco (Abies alba), particolarmente estesa sul Pollino (Piano Conocchiello, Piano Iannace, Bosco Toscano, Riserva del Rubbio, Cugno Ruggero, Cugno dell'Acero) rispetto ad altre faggio-abetine dell'Italia meridionale. Quest'associazione può essere considerata climax in quanto è una forma di vegetazione evoluta al massimo, in equilibrio naturalmente stabile col clima e col terreno, infatti essa si realizza nelle stazioni che hanno subito di meno le modificazioni artificiali. Tuttavia non è possibile considerare assente l'azione dell'uomo nel favorire direttamente o indirettamente locali espansioni di Abete bianco.
La fascia Mediterraneo-Altomontana è individuata dalla vegetazione a Sesleria tenuifolia (Sesleria tenuifolia), che si sviluppa al di sopra del limite degli alberi. L'elemento vegetazionale caratteristico di questa fascia è rappresentato dalle "pélouses ècorchies" (tappeto erboso scorticato) formate da popolamenti discontinui nei quali dominano specie di Sesleria e Carex (Pignatti, 1979). Alle alte quote troviamo anche le Sassifraghe (Saxifraga marginata, Saxifraga porophilla, Saxifraga lingulata, Saxifraga paniculata) e i Semprevivi (Sempervivum tectorum). Il Pino loricato (Pinus leucodermis) lo troviamo generalmente in questa fascia.La flora del massiccio del Pollino presenta delle caratteristiche interessanti anche per la presenza di singole specie, importanti soprattutto per la loro distribuzione. Tra tutte sono da ricordare Stregonia siciliana (Sideritis syriaca), Millefoglio appenninico (Achillea mucronulata), Millefoglio del Pollino (Achillea rupestris), Millefoglio della Basilicata (Achillea lucana), Finocchiella di Lucania (Portenschlagiella ramosissima), Linajola (Linarea purpurea), Peverina di Scarano (Cerastium scaranii), Iva acaule (Ajuga tenorii), Pigamo di Calabria (Thalictrum calabricum), Cardo abruzzese (Cardus affinis), Cinoglossa della Majella (Cynoglossum magellense), Cinoglossa montana (Cynoglossum montanum), Efedra nebrodense (Ephedra major), Campanula del Pollino (Campanula pollinensis). Sono da menzionare, anche, i popolamenti di Peonia maschio (Paeonia mascula) e di Peonia pellegrina (Paeonia peregrina.) presenti sia sul Monte Carnara che sui monti della dorsale del Pellegrino dove un'altra presenza floristica è molto importante, la Genziana primaticcia (Gentiana verna), qui al suo limite meridionale.
I vasti prati-pascoli del massiccio sono invasi dagli Asfodeli (Asphodelus spp.) e dalle Genziane maggiori (Gentiana lutea). Questo è indice di gran pascolamento, in quanto i bovini non gradiscono queste piante che hanno, quindi, la possibilità di svilupparsi in gran numero a scapito di altre essenze vegetali che vengono brucate.Le radici delle Genziane, grandi come una carota ed amare, possono essere usate per fare digestivi. Su questi piani sono splendide le fioriture delle viole (Viola aethnensis subsp. messanensis) e delle Orchidee (Dactylorhiza sambucina, Orchis pallens, Gymnadenia conopsea, Coeloglossum viride), che offrono uno spettacolo cromatico difficilmente dimenticabile. Nel Piano di Acquafredda, tra la parete settentrionale del Dolcedorme e Serra delle Ciavole, un gruppo di faggi prende forme contorte, con fusti torniti e lisci, questi sono i "Faggi serpente". Le contorsioni e gli avvolgimenti in taluni casi fanno dirigere l'accrescimento dei tronchi non verso l'alto, ma parallelamente al suolo o, per alcuni tratti, verso di esso. Un'autentica inversione di tendenza, un geotropismo contrario alla regola. Non si sa cosa possa averli ridotti così, forse è stata la presenza di un lago o il peso della neve. Una zona di particolare interesse è Timpone Dolcetti, nel territorio del comune di Castrovillari, dove troviamo nuclei spontanei di Pino nero (Pinus nigra) insediati su tratti rocciosi. Molto interessanti sono dei grossi esemplari di Tasso (Taxus baccata) nella faggeta sottostante Sasso del Pino, sul crinale della Montea.
IL PINO LORICATO (Pinus leucodermis Antoine)
Fino agli inizi dell'ottocento, solo pastori e boscaioli sapevano dell'esistenza di questi grossi pini in cima a poche inaccessibili montagne del Pollino. Le prime notizie risalgono al 1826 quando il botanico partenopeo Michele Tenore raccolse per la prima volta dei rametti di questo pino ai Piani di Pollino a circa 1850 metri di quota. Questo materiale d'erbario venne confuso con altre specie vagamente simili come il Pino mugo (Pinus mugo), il Pino silvestre (Pinus sylvestris), il Pino marittimo (Pinus pinaster) e il Pino nero (Pinus nigra). Nel 1890, Achille Terraciano raccolse materiale che riferì a Pino laricio (Pinus nigra var. calabrica) in diverse località del Massiccio del Pollino.
Facendo un passo indietro bisogna ricordare che nel 1863 il tedesco Theodor von Heldreich aveva ritrovato sul Monte Olimpo un pino che ricordava quello del Pollino e che poi Herman Christ avrebbe a lui dedicato (Pinus heldreichii); nel 1864 F. Antoine trovò nei territori dell'ex Jugoslavia dei pini simili a quelli trovati sul Pollino e per essi coniò il nome di Pinus leucodermis.
Arriviamo agli inizi del 1900 e sul pino del Pollino c'è poca chiarezza, nel 1905 Biagio Longo riferisce i suoi ritrovamenti, sul Pollino e sui Monti della dorsale del Pellegrino, al Pinus leucodermis Antoine (1864) = Pinus heldreichii Christ (1863) e per la prima volta lo chiama Pino loricato per la peculiarità della corteccia, le cui fessurazioni in grandi placche poligonali la rendono simile alla corazza a squame dei legionari romani, detta appunto lorica.
Lo studio più recente è quello compiuto dal dottor Silvano Avolio dell'Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Cosenza. Egli è giunto alla conclusione che siano da distinguere due forme di Pino loricato: nell'Italia meridionale, nell'ex Jugoslavia, in Albania, in Grecia e in Bulgaria si incontra il Pinus leucodermis, il Pino loricato vero e proprio, mentre in Albania, in poche zone dell'ex Jugoslavia e sul Monte Olimpo troviamo il Pinus heldreichii, o Pino di Bosnia, diverso per caratteristiche abbastanza sottili, difficili da cogliere da parte dell'osservatore medio.
Il Pino loricato è un albero robusto e maestoso che cresce non troppo alto, tozzo e contorto a causa delle condizioni atmosferiche che deve sopportare. Se trova condizioni favorevoli cresce alto e diritto e può raggiungere notevoli dimensioni, alcuni dei giganti del Palanuda raggiungono i 38 metri di altezza. La chioma non è molto densa ed è di colore verde scuro e di forma ovale, quelli che vivono più in alto e sono esposti al vento sviluppano i loro rami a "bandiera", cioè nella direzione del vento dominante, per offrire meno resistenza ed alcune volte, dei rami per non uscire dalla linea del vento si accrescono verso il basso. La corteccia è inconfondibile, infatti è divisa in grandi placche trapezoidali di colore grigio cenere ricoperte da scagliette lucenti. Gli aghi sono riuniti in fascetti di due, sono rigidi e pungenti e di colore verde scuro; gli strobili sono ovato-conici e di piccole dimensioni. Fiorisce nel mese di Giugno.
Lo troviamo su quasi tutte le alte cime del Massiccio, appena al di sopra del limite del faggio che occupa il terreno migliore e lo obbliga a ritirarsi nei luoghi rocciosi.
A settentrione, il popolamento del Monte Alpi segna il limite nord dell'areale della specie in Italia ed è composto da piante maestose e plurisecolari. Il popolamento più esteso si trova nel cuore del Parco, sulle cime sopra i duemila metri e sui versanti ripidi dove tutte le altre specie non riescono a crescere per mancanza di humus, mentre il Pino loricato vi riesce estendendo le sue radici nelle fenditure della roccia. Il popolamento della Montea segna il limite occidentale e meridionale dell'areale della specie in Italia ed è composto non solo da piante mature ma anche da pini giovani. I limiti altitudinali estremi sono i 530 mt. s.l.m. di Canale Cavaiu (Orsomarso) e i 2240 mt. s.l.m. di anticima nord di Serra Dolcedorme.
Un piccolo ecosistema qual è ogni esemplare plurisecolare di Pino loricato ospita vari animali.
Per quanto riguarda gli insetti le forme più varie ed interessanti si incontrano principalmente tra i Coleotteri e primi tra tutti i Cerambicidi, riconoscibili di solito per le antenne molto lunghe, da cui anche il nome di longicorni. La maggior parte è grande e vivacemente colorata e vive di solito in regioni boschive dove alcune specie possono provocare danni agli alberi.
Curculionidi, Scolitidi e Buprestidi sono tra le altre famiglie di Coleotteri quelli che si trovano più facilmente in questo piccolo ecosistema.
I Curculionidi hanno il capo prolungato in avanti a forma di rostro all'estremità del quale vi sono le mandibole, mentre le antenne clavate sono inserite a metà. Molte specie sono attere ed hanno le elitre saldate insieme. Si ritiene che in alcune specie il rostro serva come strumento per scavare, forse per fare un buco nel quale deporre le uova o per raggiungere le parti interne delle piante, più ricche di nutrimento.
I Coleotteri della famiglia degli Scolitidi sono tutti insetti scuri, con la tipica forma cilindrica della maggior parte dei coleotteri xilofagi. Le dimensioni raramente raggiungono i 5 mm e si identificano spesso più facilmente per le gallerie che scavano appena sotto la corteccia degli alberi, infatti ogni specie scava le gallerie producendo di solito un disegno caratteristico.
I Buprestidi sono insetti di dimensioni medie o anche molto grandi, spesso vivacemente colorati e con riflessi metallici. Il capo è profondamente infossato nel torace, gli occhi sono insolitamente grandi e le antenne sono corte e spesso dentellate. Tra i Buprestidi bisogna ricordare il rarissimo Buprestide splendente (Buprestis splendens) che è uno dei Coleotteri più rari d'Europa, infatti finora è stato trovato solo pochissime volte.
Tra le farfalle bisogna menzionare quelle appartenenti alla famiglia dei Satiridi, che comprende prevalentemente insetti di colore marrone. Gran parte di queste farfalle sono decorate con macchie al centro chiaro, simili ad occhi.
Ai piedi dei giganti arborei si crogiola spesso al sole la Lucertola muraiola (Podarcis sicula) con la speranza di catturare qualcuno degli insetti che vive intorno agli alberi o su di essi. La colorazione di fondo del dorso di questo sauro va da bruna, bruno-olivastro a bruno-giallastro o verde. Gli esemplari "bruni" sono più comuni in montagna.
Vivono intorno o su questi maestosi alberi uccelli di specie diverse tra cui la Cinciallegra (Parus major) riconoscibile dal petto giallo con una striscia centrale nera, la Cincia mora (Parus ater) riconoscibile dalla macchia nera sul retro del capo, il Codirosso (Phoenicurus phoenicurus) riconoscibile il maschio per la gola nera ed il petto arancione e la femmina dal petto bruno-giallastro e la coda rossastra. Le cavità dei tronchi sono ricercate dal Picchio muratore (Sitta europea) che è un uccello corto e massiccio che si arrampica sugli alberi con brevi corsette in qualsiasi direzione, compresa quella all'ingiù. Ha il becco potente ed appuntito, si riconosce per una macchia cremisi sull'ala e nonostante il nome non fa parte della famiglia dei picchi. Intorno ai colossi più annosi si incontra talvolta il Picchio nero (Dryocopus martius) il più grosso picchio europeo e si riconosce dal corpo nero e dal vertice rosso.
Tra i mammiferi, notoriamente molto elusivi, quello che si può osservare più spesso è lo Scoiattolo (Sciurus vulgaris meridionalis). E' inconfondibile per le abitudini arboricole, le dimensioni (20-28 cm), la grande coda e la colorazione nera con le parti ventrali biancastre. Trascorre la sua esistenza tra le chiome degli alberi e scende a terra solo di tanto in tanto. I suoi arti sono conformati per arrampicarsi con estrema agilità su tronchi e rami, le lunghe e sottili dita di cui sono munite tutte e quattro le zampe portano all'estremità degli artigli altrettanto lunghi, sottili, acuminati come aghi, incurvati a falce. Durante l'arrampicamento anche i cuscinetti plantari e del calcagno hanno una loro funzione: impediscono con la loro ruvida superficie all'animale di scivolare.
LA FAUNA
L'articolazione orografica molto varia del massiccio e la sua ricchezza di formazioni vegetali e di acque, che costituiscono preziosi habitat, è alla base della diversità delle popolazioni animali che vivono nel Parco.
La distribuzione delle specie animali nell'ambiente non è casuale, ogni specie animale vive in un particolare habitat ed ha una propria nicchia ecologica. Questi due concetti possono essere così esemplificati: l'habitat di una specie è il suo indirizzo, la nicchia ecologica la sua professione. L'habitat contiene molte nicchie ecologiche, tante quante sono le specie, nello stesso habitat a ciascuna nicchia corrisponde una sola specie.
Se da una parte abbiamo una grande varietà di specie, dall'altra notiamo un impoverimento di esemplari per specie. Questa diminuzione numerica è dovuta a vari fattori tra cui la caccia ed il più micidiale bracconaggio, la costruzione di briglie lungo i corsi d'acqua, i disboscamenti, l'apertura di numerose strade anche a quote molto alte e tante altre opere legate all'azione antropica.
E' fonte di grande delusione per molti visitatori del Parco Nazionale il fatto di non vedere molti animali e ciò accade sia perché il numero di esemplari è molto limitato e sia perché gli animali, soprattutto i mammiferi, sono poco abituati ad essere avvicinati dall'uomo. Comunque se si guarda bene si riescono ad osservare le tracce di molti animali: impronte, resti di cibo, penne e piume, mute di insetti o di rettili e fatte.
Ora faremo una breve rassegna di alcune specie che sono presenti sul territorio del Parco Nazionale del Pollino.
Nei corsi d'acqua e nelle acque di sorgente è facile trovare i Nematomorfi o Gordiacei, dei vermi cilindrici filiformi. Allo stadio adulto conducono vita libera mentre allo stato larvale sono parassiti di insetti e crostacei.
Molto interessanti sono le popolazioni del crostaceo endemico Chirocephalus ruffoi, verificato abbondante nelle pozze dei Piani di Pollino, che rappresenta un chiaro esempio di endemismo puntiforme in quanto solo li ritrovato.Tra gli insetti bisogna ricordare i Carabidae, una grande famiglia di Coleotteri. I Carabidi passano gran parte delle loro vita sopra e sotto il suolo. Corrono veloci, molti di essi sono atteri e in molte specie le elitre sono saldate offrendo una protezione supplementare a questi Coleotteri mentre vagano qua e la alla ricerca di cibo. La maggior parte dei Carabidi è notturna e durante il giorno si nasconde sotto i tronchi marcescenti e le pietre. Adulti e larve sono soprattutto carnivori, le larve non scavano e si spostano cacciando vermi, limacce ed insetti.
Questi insetti svolgono un ruolo molto importante nella rete trofica a livello del suolo e sono buoni indicatori del livello di antropizzazione/naturalità degli ecosistemi (Thiele, 1977).
Le faggete più elevate e più evolute ospitano un popolamento di Coleotteri Carabidi caratterizzato da Oreophilus bicolor e Trichotichnus nitens, mentre le faggete di altitudini minori ospitano un popolamento caratterizzato da Synuchus nivalis e Carabus violaceus picenus (Brandmayr P. e Zetto Brandmayr T., 1986). La comunità della fascia bioclimatica delle querce (fascia sannitica) è caratterizzata da Carabus convexus e Carabus preslii, ma tende a presentare facies differenti più frequentemente di quanto accade nelle faggete, forse anche in seguito al maggior sfruttamento di questi ambienti da parte dell'uomo.Tra gli altri Coleotteri sono da citare la Rosalia alpina (Rosalia alpina) ed il Cervo volante (Lucanus cervus). La Rosalia alpina è un Cerambicide molto raro, lungo 15-40 mm, di colore azzurro cenere, recante tre coppie di macchie nero-vellutate ed orlate di bianco sulle elitre. Vive nelle foreste di faggio mature in quanto le larve hanno bisogno di svilupparsi in grossi tronchi marcescenti. Il Cervo volante appartiene alla famiglia dei Lucanidae e deve il suo nome alle enormi mandibole del maschio, somiglianti alle corna di un cervo. E' uno dei nostri Coleotteri più grandi, può raggiungere infatti i 50 mm di lunghezza. Questa specie si sviluppa in alcuni alberi e soprattutto nei tronchi marcescenti o in altri luoghi adatti, ma sembra diventare sempre più rara.
All'inizio dell'estate sono tante le farfalle che svolazzano sui vasti pianori e molte di esse sono oggetto di studio da parte degli entomologi. Tra le tante famiglie è da citare quella dei Tortricidi composta da piccole farfalle notturne che possono raggiungere i 25 mm e più di apertura alare. La loro caratteristica più evidente è quella di avere le ali anteriori quasi rettangolari e squadrate all'estremità. Gli studi sui Tortricidi del Pollino hanno consentito di individuare e descrivere tre specie nuove: Cnephasia pollinoana, Cnephasia zangheriana e Isotrias martelliana (Trematerra P., 1991). Molto interessante, perché molto localizzata e mai abbondante, è la presenza nell'area della Petrosa di un'altro Lepidottero appartenente alla famiglia dei Satyridae: Melanargia arge.
Tra i Pesci si ritiene che ancora qualche Trota fario (Salmo trutta var. macrostigma) originaria possa ancora vivere nei tratti più a monte dei torrenti del massiccio. Le cause della quasi scomparsa del ceppo originario di fario sono dovute al peggioramento delle condizioni ambientali, alla pesca di frodo con ogni mezzo, tra cui veleno ed esplosivo, e soprattutto ai ripopolamenti sbagliati fatti con specie diverse da quelle presenti in origine. Più a valle, dove l'acqua scorre più lenta non troviamo più i Salmonidi ma a questi si sostituiscono i Ciprinidi e tra le specie appartenenti a questa famiglia sono interessanti le presenze di Alborella meridionale (Alburnus albidus) e di Rovella (Rutilus rubilio) nel fiume Sinni poiché trattasi di specie considerate come parzialmente minacciate ed endemiche delle regioni centro-meridionionali nell'elenco di specie ittiche dulcaquicole minacciate in Italia.
Le zone umide sono frequentate da numerosi Anfibi. Nelle pozze, nei ruscelli con acqua ferma o poco corrente e nei fontanili di montagna è possibile trovare l'Ululone dal ventre giallo (Bombina pachypus). Questo piccolo rospo è caratterizzato dall'avere le parti ventrali blu-nerastre con macchie gialle. Quando è minacciato si inarca, porta le zampe anteriori sugli occhi e poi rovescia le zampe posteriori mostrando così i vivaci colori della regione ventrale emettendo secrezioni ghiandolari irritanti e di odore molto disgustoso, questo fa si che diminuisca sensibilmente il numero di predatori naturali. Questa specie la possiamo trovare nelle pozze fino a quasi 2.000 metri di quota.
Sono altamente interessanti altre quattro specie: la Rana italica (Rana italica) che è esclusiva dell'Italia peninsulare, il Tritone italiano (Triturus italicus) che è invece presente a sud di una linea ideale che congiunge Napoli ad Ancona, la Salamandra dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) che è un buon indicatore ambientale in quanto presente solo in biotopi in buono stato di conservazione, il Tritone crestato (Triturus cristatus carnifex) caratterizzato, il maschio, soprattutto quando è in fregola, dall'avere la cresta dorsale dentellata.
Anche la fauna erpetologica è molto interessante e certamente la presenza più significativa è rappresentata dalla Testuggine palustre (Emys orbicularis), considerata in pericolo in tutta Europa, che riesce a sopravvivere negli stagni del massiccio fino all'eccezionale quota di 1.600 metri. Degna di nota è la segnalazione della Testuggine di Hermann (Testudo hermanni), anch'essa considerata in pericolo in tutta Europa, sul monte La Spina.
Nei prati e nelle radure da metà primavera a fine estate è possibile vedere o "sentire" strisciare le Luscengole (Chalcides chalcides), un sauro dal corpo serpentiforme con arti piccolissimi con tre dita. Tra i serpenti è di interesse la presenza del Cervone (Elaphe quatuorlineata), il più grande serpente italiano (fino a 240 cm). E' di colore bruno-giallastro con, nella parte superiore, quattro (due per lato) fascie scure longitudinali e parallele. Molto interessante è la presenza del Colubro leopardino (Elaphe situla), un serpente dalla pelle maculata di un bel colore rossiccio, in prossimità del fiume Sinni poiché è molto raro e minacciato di estinzione, tanto che è stato inserito nella lista dei Rettili italiani in pericolo.
La Biscia dal collare (Natrix natrix) frequenta la zone umide dove preda, per lo più, rane e rospi. Bisogna ricordare che quasi tutti i rettili sono innocui, solo la Vipera (Vipera aspis) può essere pericolosa. Il corpo tozzo, la coda corta e la pupilla verticale sono le caratteristiche che contraddistinguono la vipera dagli altri serpenti. Vive, praticamente, in tutti gli ambienti e bisogna sottolineare che morde solo se minacciata e se non ha possibilità di fuga, dunque se si fa attenzione e se non si è incauti si possono frequentare senza alcun pericolo tutti i sentieri del Pollino.La maggior importanza dell'avifauna del Pollino va ricercata fra i rapaci. Gli uccelli da preda hanno tutti artigli affilati per afferrare le vittime, becchi adunchi per ridurle in pezzi e si possono riconoscere dalla forma delle ali e della coda.
La specie più meritevole di attenzione è l'Aquila reale (Aquila chrysaetos) le cui ultime coppie dell'Appennino Meridionale nidificano sulle pareti dei monti del massiccio. Si segnalano tre-quattro punti di nidificazione ed una coppia apparentemente non nidificante. I nidi ricadono nel territorio calabrese anche se per due coppie il territorio di caccia comprende anche il versante lucano. Nidifica in pareti rocciose, mentre utilizza, per cacciare soprattutto praterie d'altitudine e pascoli. In passato l'Aquila reale è stata considerata un animale nocivo e per questo uccisa, ora con la nascita del Parco si spera che questa importante specie venga protetta in maniera adeguata. Le cause del declino numerico della specie si possono ricondurre alla non abbondanza di prede naturali e alla grave piaga del bracconaggio, infatti sembra che sia da attribuire a qualche "bracconiere" la morte dell'Aquila reale ritrovata nelle campagne di Civita nella primavera del 1993.
Altre specie degne di nota sono il Nibbio bruno (Milvus migrans) e il Nibbio reale (Milvus milvus) caratterizzato, quest'ultimo, da un'accesa colorazione della parte inferiore. Un discorso a parte merita il Capovaccaio (Neophron pernopterus), il più piccolo avvoltoio, caratterizzato dalla livrea bianca. Un tempo abbondante in tutta la Calabria è ora divenuto molto raro per le mutate condizioni ambientali, infatti è legato ai grossi spostamenti del bestiame divenuti ormai sporadici. Ritorna dall'Africa nei mesi di aprile-maggio e frequenta la zona di sud-est del territorio del Parco Nazionale del Pollino.
Tutte e quattro le specie sono state oggetto di studio del Progetto Life "Misure urgenti per la conservazione della biodiversità animale nel Parco Nazionale del Pollino". Sulle Serre di Frascineto è stato realizzato un sito artificiale di alimentazione che dovrebbe garantire ai grandi rapaci risorse trofiche non a rischio, in costante disponibilità temporale. Tali condizioni possono favorire la sopravvivenza (e la riproduzione) degli esemplari attualmente presenti ed, in prospettiva, possono fungere da fattore di richiamo per altri soggetti e, quindi, contribuire all'incremento delle popolazioni locali (Niebuhr et al., 1997).
La Poiana (Buteo buteo) è ampiamente diffusa e risulta essere il rapace diurno più frequente assieme al Gheppio (Falco tinnunculus). Il Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) si può osservare frequentemente all'epoca delle migrazioni, i boschi sono il territorio dell'Astore (Accipiter gentilis) e dello Sparviere (Accipiter nisus) e in montagna, dove nidifica sulle pareti rocciose, è possibile vedere il Falco pellegrino (Falco peregrinus).
Tra i rapaci notturni è molto importante la presenza del Gufo reale (Bubo bubo), una specie divenuta, non solo in Italia, sempre più rara a causa soprattutto delle modificazioni ambientali.
Molto interessanti sono le borre, pallottoline grigiastre allungate dalla forma cilindrica o ellissoidale, contenenti i resti indigeribili (ossa, peli, penne, squame ecc.) delle prede, dei rapaci notturni ed in particolare quelle di Barbagianni (Tyto alba) e di Allocco (Strix aluco). Le borre, soprattutto quelle di Barbagianni, vengono aperte e attraverso l'analisi dei crani contenuti nel loro interno si hanno informazioni sulle popolazioni di micromammiferi che vivono nelle aree frequentate da questi rapaci notturni.
Altri uccelli di notevole interesse presenti nel Parco sono il Picchio nero (Dryocopus martius) un elemento alpino abitatore dei boschi più interni e enaccessibili, la Coturnice (Alectoris graeca), ancora presente sulle praterie d'alta quota del massiccio, il Corvo imperiale (Corvus corax) ormai raro nel resto dell'Appennino.
All'interno del Parco, nella Petrosa, unico posto in Italia, troviamo la nidificazione contemporanea di tutte e cinque le allodole italiane: Calandra (Melanocorypha calandra), Cappellaccia (Galerida cristata), Tottavilla (Lullula arborea), Allodola (Alauda arvensis) Calandro (Anthus campestris).
Sono tante le specie di Mammiferi presenti sul territorio del Parco, ma la specie che merita più attenzione è certamente il Capriolo (Capreolus capreolus), molto importante dal punto di vista genetico perché è forse l'ultima popolazione della razza oroginaria dell'Appennino. All'inizio del secolo era presente su tutta l'area, poi un'intensa attività venetoria esercitata soprattutto negli anni 50 e 60, agevolata dalla vasta rete di vie montane, ne avviò la rarefazione. Ricordo che la caccia al Capriolo era consentita fino agli inizi degli anni 70, quantunque non sembra storicamente diffusa tra la popolazione locale. Il nemico più pericoloso è il bracconiere, "specie predatoria" che da anni perseguita questo splendido animale. Il Capriolo, nome locale "caprio", attualmente vive stabilmente nella valle medio-superiore del fiume Argentino dove sono presenti una ventina di esemplari, un'altra popolazione numericamente simile si trova tra il Cozzo del Pellegrino e la Zona di ripopolamento e cattura di Grisolia, mentre solo una decina di esemplari frequentano la zona del Monte Caramolo. Il rischio di estinzione per questo animale è grandissimo, per evitarlo occorrerebbe un miglior controllo del territorio potenziando l'organico della Guardia Forestale, la limitazione degli allevamenti al fine di riqualificare aree sia pascolative che boschive, la lotta al randagismo in quanto i cani rinselvatichiti entrano nella catena alimentare di questi Ungulati in qualità di predatori.
Un'altra specie che merita di essere citata è la Lontra (Lutra lutra) che è presente nel fiume Peschiera e forse anche in altri corsi d'acqua con una popolazione ridotta e molto frammentata. Un tempo era comune in tutti i corsi d'acqua, poi una caccia indiscriminata ad opera dei "lontrari" e la credenza diffusa che si trattasse di un animale dannoso ne hanno causato il declino numerico. Successivamente hanno inciso notevolmente sulla sua capacità di sopravvivere le profonde modificazioni apportate al suo habitat dalla mano dell'uomo: inquinamento, disboscamenti, prelievo di ghiaia e di inerti dall'alveo dei fiumi, cementificazione delle sponde.
Il Pollino, grazie alla morfologia del territorio molto accidentata e che conseguentemente offre molte possibilità di rifugio, sembra essere, di tutto l'Appennino meridionale, la zona di maggior interesse per la protezione del Lupo (Canis lupus). La popolazione presente dovrebbe essere di circa una trentina di individui. Generalmente predano giovani cinghiali e le greggi. Negli ultimi anni, purtroppo, la sua più grande risorsa alimentare risulta essere costituita dai rifiuti delle discariche. Le ragioni principali sono due: la carenza di fauna selvatica da predare e il gran numero di cani rinselvatichiti che tendono ad occupare la nicchia ecologica del Lupo. I cani rinselvatichiti costituiscono un'altra minaccia per il Lupo in relazione alla possibilità di incrocio con lo stesso, con conseguenti alterazioni genetiche che ne minacciano la purezza.
Altre specie importanti sono il Gatto selvatico (Felis silvestris) che in Italia troviamo solo nell'Appennino e che più volte è stato segnalato anche se mancano le prove certe della sua presenza, il Driomio (Dryomys nitedula) un piccolo gliride presente in Italia solo sulle Alpi orientali e sui monti della Calabria, l'Istrice (Hystrix cristata) ormai raro grazie alla caccia indiscriminata cui è soggetto.
Quattro Chirotteri, Ferro di cavallo minore (Rhinolophus hipposideros), Miniottero (Miniopterus schreibersi), Vespertilione Maggiore (Myotis myotis) e Vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii), minacciati di estinzione in tutto il territorio europeo vivono all'interno del territorio del Parco nazionale. Il primo è segnalato nelle vicinanze del vecchio abitato di Laino Castello mentre gli altri tre frequentano le Gole del raganello.
Una famiglia di mammiferi molto interessante è quella dei Mustelidi che costituisce, fra i carnivori italiani, il gruppo più numeroso e complessivamente più abbondante. Quasi tutti i Mustelidi sono oggetto di pesanti persecuzioni perché ritenuti animali nocivi, in quanto, spesso penetrano negli allevamenti e compiono stragi di galline e conigli. Di questa famiglia sono presenti sul Pollino, oltre alla già citata Lontra, la Donnola (Mustela nivalis), la Puzzola (Mustela putorius), la Faina (Martes foina), la Martora (Martes martes) e il Tasso (Meles meles). Ad eccezione del Tasso che è abbastanza corpulento con zampe lunghe e larghe, le altre specie sono caratterizzate dall'avere il corpo molto allungato e le gambe corte. Sono abbastanza intelligenti e formidabili cacciatori e, a differenza di quanto si crede, molto utili in quanto limitano le popolazioni di topi e ratti, animali molto più nocivi di loro.
Un animale che in questi anni sta creando grandi problemi è il Cinghiale (Sus scrofa). Grazie ai ripopolamenti, soprattutto a fini venatori, con varietà non autoctone, che hanno imbastardito l'identità genetica della razza originaria, le popolazioni di cinghiale si sono accresciute in maniera incontrollata e vagano alla ricerca di cibo oltre che nel bosco anche nei campi coltivati, dove causano notevoli danni.
Facendo riferimento alla fauna scomparsa sono tante le specie che ormai si sono estinte sull'Appennino calabro-lucano.
Circa 800.000 anni fa potevamo trovare ,addirittura, Elefanti ed Ippopotami. Ciò ci viene dimostrato dal ritrovamento di uno scheletro di Elefante preistorico (Elaphas antiquus) ritrovato nel 1982 nelle campagne di Rotonda, nella valle del fiume Mercure, e ora conservato nel Museo di Storia Naturale di Rotonda. Altro ritrovamento si è avuto nel comune di Laino Borgo, in contrada Santoianni, dove sono stati ritrovati resti di un Ippopotamo (Hippopotamus amphibius).
Molto importante è la presenza di Rudiste (considerati fossili guida) nei calcari del Pollino. Sono antichi molluschi vissuti nel Cretacico (100 milioni di anni fa) e si ritrovano nelle rocce in varie zone del massiccio, le più note sono quelle che si trovano a Colle Impiso.
Passando a tempi più recenti diversi toponomi (Orsomarso, Cozzo dell'Orso, Timpa dell'Orso) ci testimoniano la presenza dell'Orso (Ursus arctos). Infatti, all'inizio del secolo, Norman Douglas, un viaggiatore inglese, nel suo viaggio in Calabria raccolse significative testimonianze circa la presenza del plantigrado in un epoca non di molto anteriore a quella del suo viaggio. Si può ritenere che l'Orso fosse ancora presente agli inizi dell'ottocento. La Lince (Felis lynx) si sarebbe estinta in epoca più recente. Ricercatori hanno raccolto testimonianze orali presso anziani cacciatori che confermano la presenza del felino fino ad una settantina di anni fa. Il Cervo (Cervus elaphus) è sopravvissuto fino ad epoca abbastanza recente e, anzi, è documentata la sua presenza fino a circa novanta anni fa nel gran bosco di Policoro e quindi non lontano dalla zona del Pollino. Le cause della scomparsa del Cervo sono state da un lato la caccia cui questo mammifero è stato sempre oggetto, dall'altro la riduzione dei grandi boschi, poiché il Cervo non riesce a sopravvivere nelle boscaglie giovani e nei terreni impervi. Camoscio (Rupicapra rupicapra) e Gallo forcello (Tetrao tetrix), elementi di tipo nordico-alpino, si sono estinti in epoche più remote.
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